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Favignana la Polinesia D'Italia

FAVIGNANA

 

E un piccolo mondo antico, in cui vive il ricordo dell’epoca d’oro della tonnara che aveva portato il benessere nell’arcipelago.
 
Nell’entroterra, solcato da una ragnatela di viottoli in terra battuta, si apre il labirinto delle cave di tufo, rinate come giardini ipogei.
 
E le spiagge, gli scogli, le grotte, lungo 34 chilometri di costa, si specchiano in un mare dalle trasparenze polinesiane.
 
Nella luce azzurra del mattino il porto è silenzioso e deserto.Al largo il primo aliscafo da Trapani è ancora una sagoma indistinta, potrebbe essere un grosso gabbiano in planata fra due torri di schiuma candida. Sul molo d’attracco, lentamente, cominciano a radunarsi tutti i gatti di Favignana.Uno spettacolo degno di uno dei migliori cartoon Walt Disney.Venti, trenta grossi gatti di strada si schierano in fila lungo la banchina come la platea di un teatro, secondo gerarchie ataviche di forza e rispettabilità.
 
Seduti composti, aspettano che le manovre d’attracco siano concluse poi, come lo vedono avanzare sulla passerella, si alzano tutti insieme.Le code dritte, le orecchie tese, gli vanno incontro, si strusciano contro le sue gambe e miagolano un dignitoso benvenuto.Lui li saluta chiamandoli per nome, e comincia a estrarre dal suo borsone tanti pacchetti di stagnola argentata pieni di cibo, li posa per terra e sta a guardare il banchetto.La scena si ripete da anni, da quando il vecchio signore di Trapani è andato in pensione: ogni mattina puntuale arrivava sull’isola con il primo aliscafo per sfamare i suoi amici gatti e ripartiva dopo un oretta, dopo essersi accertato che tutti, anche i più deboli o timidi, siano riusciti a mangiare qualcosa.
 
 
 
Intanto la vita di Favignana si è risvegliata. Allo scalo San Leonardo alcuni pescatori vendono ricciole, seppie pesce spada, ricci e cozze sui piccoli banchi con le ruote, altri riparano le reti seduti a prua delle loro barche che hanno i nomi delle innamorate e dei morti, Stella, Laura, Biagio Padre, Angelo……I motocamion degli ortolani ambulanti, carichi di carciofi, collane d’aglio, insalate, arance grosse e tonde, sbarcano dai traghetti mischiati ai turisti , e tra fumi di scarico neri arrancano sulla salitina che porta in Piazza Europa, dove li aspettano le donne e i ristoratori.
 
 
 
Il profumo d’infanzia dei biscotti all‘anice appena sformati dal mitico panettiere di piazza Matrice guida nel cuore del paese. Un piccolo mondo antico di architettura popolare mediterranea fatta di casette a cubo intonacate di bianco, tendine di pizzo ai vetri, tetti a terrazza su cui sventolano i panni stesi ad asciugare interrotto da qualche tocco di leggerezza del liberty palermitano nel palazzo dei Florio e nell’attiguo villino del loro amministratore. E’ passato più di un secolo e mezzo ma i Favignanesi, tutti, parlano con un misto di rispetto e nostalgia della famiglia di imprenditori di Palermo che a metà Ottocento comperò l’isola assieme a Marettimo e Levanzo, e la trasformò in un importante centro della pesca e lavorazione del tonno, portando benessere nell’arcipelago e sulla costa. Testimoni dei bei tempi passati restano le gigantesche strutture dello Stabilimento, un complesso di 33 mila mq in cui lavoravano mille persone realizzato nel 1878, in uno stile che ricorda gli edifici pubblici britannici, da Giuseppe Damiani de Almey, l’architetto di fiducia dei Florio che operò anche a Villa Igea e al Politeama di Palermo.Per questa immensa cattedrale al lavoro, come l’ha definito lo scrittore Vincenzo Consolo in La pesca del tonno in Sicilia.Dopo diversi anni di lavoro di restauro oggi il complesso e stato completamente ristrutturato assumendo un aspetto a dir pocoo splendido e maestoso sia all’ esterno che all’interno.
 
 
 
Più vissuta,pur se fatiscente, è la Camparià, il deposito degli attrezzi e delle scabiche, le barche per la pesca dei tonni, in un angolo del porto. Il santuario laico di Gioacchino Cataldo, il rais, il capo della tonnara, il regista sciamano che sa calcolare sentendo il vento, scrutando il cielo e il mare, il percorso dall’Atlantico alle calde acque del Mediterraneo dei pregiati tonni rossi. E che decide tempi e modi del rito grandioso e terribile, antichissimo e controverso, dei 100 giorni ( da aprile ai primi di luglio) della mattanza. Oggi tale tipologia di pesca non è più praticata a causa dell’eccessivo sfruttamento praticato dalle tonnare volanti. Strano posto, Favignana. Riesce ancora ad essere un’isola-isola, senza compromessi, con le sue storie minute, i personaggi simbolo, i riti antichi del passeggio delle donne al tramonto e dei bar pieni solo di uomini. È aspra, rustica, senza spiagge organizzate e maxidiscoteche fino all’alba. Come le belle donne siciliane di un tempo, è ritrosa eppure suscita passioni forti, innamoramenti per sempre. Non solo tra gli isolani, ma anche tra la gente che viene dal Continente, come dicono qui, comprendendo anche la Sicilia. Personaggi speciali, con gli occhi curiosi, che hanno visto e capito il suo segreto più intimo: l’entroterra. La preziosa macchia mediterranea, la ragnatela di viottoli di terra battuta che si perdono fra i campi protetti dai muretti frangivento di pietra, i ruderi delle vecchie fattorie, le senie, che ricordano quando a Favignana si coltivavano il cotone e il grano. Soprattutto il labirinto delle cave di tufo. Il paesaggio di Favignana. Un universo al contrario che dal sottosuolo si innalza con snelle torri a gradoni, capitelli, ricami di pietra tra l’azzurro del mare e l’azzurro del cielo, o penetra nelle profondità della terra con gli ingrottamenti, le gallerie scavate dall’uomo a colpi di Piccune e Mannara alla luce fioca delle lampade ad acetilene. Se ancora molte cave sono in stato di abbandono, alcune sono rinate come orti ipogei. Basta affacciarsi dal livello della strada e guardare giu: tra le pietre squadrati e i pinnacoli appare un improbabile scenografia naturalistica di basse piante di capperi, di grandi limonaie, di cactus carichi di succosi fichi d’india. Altre, invece, sono state recuperate dagli emigrati per amore e trasformati in villaggi vacanze. C’è quello di Benito Alessandra, detto Benny, scultore per passione del tufo che nel giardino ipogeo ha creato un piccolo museo delle proprie opere: un omaggio alla storia dell’isola. C’è villa margherita con un teatro ritagliato nel tufo che suggerisce in miniatura quello di Taormina. Ma lo spettacolo più impressionante l’ha creato la natura, a Cala Rossa. Emozioni forti per la retina. Nella baia più famosa di Favignana, in tutte le sfumature del turchese si specchiano strano parallelepipedi di tufo tagliato perfettamente dalle seghe circolari dei cavatori e cerchi di pietra rosata che con l’alta marea si trasformano in piscine naturali dal fondo blu. Sopra e sotto, il mare delle Egadi non ha nulla da invidiare alle Maldive. Fidati: le conosco palmo a palmo e mi sono fermato qui… . La bella signora siciliana ha spezzato un altro cuore straniero. Con il suo mare questa volta. Ivan Roveri, da bologna, istruttore del centro immersioni progetto Atlantide non ha dubbi: le trasparenze incredibili di settembre-ottobbre che permettono ai sub una visibilità di 50 metri, l’intensità dei colori, la vita sottomarina (sono arrivati anche pesci tropicali), la varietà di immersioni… il mare di Favignana ha qualcosa di speciale. Cosi speciale che, a chiedere alla gente di mare qualche dritta sulla spiagge, non si riescono ad avere spiegazioni certe, ognuno ha la sua preferita, diversa da quella dell’ altro. Conclusione: sono tutte bellissime e, con 34 kilometri di costa, ogni giorno vale la pena di cambiare per provare esperienze e panorami nuovi. La spiaggia di sabbia di lido burrone è la più frequentata, mentre più a est punta fanfalo e cala azzurra ( il nome è una certezza) sono più tranquille, hanno scogli comodi per prendere il sole e sono perfette col vento da nord. Se il vento viene da est, meglio spostarsi a ovest fra le trasparenze da laguna polinesiana di cala rotonda o su gli scogli artistici di cala grande. Al bue marino la corrente è forte: per vedere le grotte meglio saper nuotare benissimo. A far domande su punta longa si nota una certa reticenza. E come un piccolo segreto di famiglia, per pochi intimi. All’apparenza non è nulla di speciale. Una baia pittoresca dove si cullano una ventina di sciabiche, neanche un’anima in giro, una stradina che si perde sulla scogliera coperta di piante grasse che pare un giardino tropicale, il diving center con le mute stese ad asciugare, una fila di casette a cubo dei pescatori che in estate si affittano. Tutto qui. Poi arriva l’ora del tramonto. L’isola-isola parla di se a chi si ferma ad ascoltarla. Un cielo di nuvole arancioni e fucsia fa da sfondo alla spiaggetta del marasolo e all’isolotto del preveto, i gabbiani volano bassi, girano e rigirano gridando, il mare si fa sentire appena con qualche onda che si frange morbida sugli scogli. Mentre si fa buio, nel porticciolo, seduto sul pagliolo della sua barca, il rais scruta in silenzio il cielo e il mare.

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